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Punto di partenza, ovviamente, i media. Linguaggi, tecniche, forme, storia, contesti, eccetera, sono oggetto specifico della scuola di Media Design, in Naba. Strettamente intrecciato è il tema della narrazione che con quei media si svuole sviluppare. I contenuti e le storie che si vogliono raccontare e condividere.

Impossibile, specie nello scenario polimediale in cui ci muoviamo oggi, poterli districare. Nello stesso tempo, è essenziale, e altrettanto ovvio, apprendere e saper sfruttare al meglio le specificità dei diversi mezzi – parlando di video, per esempio, pensiamo a cinema vs. televisione.

Ecco: questi sono “i primi due schermi” che usiamo come riferimento nel concepire nuovi contenuti, e nel fruirne. Convivono allegramente, e continueranno a farlo, con la carta per chine e acquarelli o per i libri, da una parte, e dall’altra con le nuove esplorazioni artistiche che mischiano diversi linguaggi visuali e forme sonore con performance, interazione ambientale, tecnologie, e così via.

In tutto questo, è essenziale prendere possesso anche delle qualità peculiari del “terzo schermo”: quello del computer. Che, da quando è connesso stabilmente in Rete, non è più solo strumento tecnico di produzione, bensì canale preponderante per la diffusione e la fruizione dei media.

I video di YouTube raccolgono miliardi di minuti di visione. Gli stream fotografici che passano in Flickr e similari stravolgono la logica tradizionale del progetto fotografico. La fruizione “fluida” della musica che possiamo avere tramite Last.fm, senza più neanche le playlist che possiamo archiviare come momento di passaggio, cambia le nostre abitudini di ascolto.

Il tutto, ovviamente, a confronto con la produzione sterminata delle centinaia di milioni di utenti che, in ogni parte del mondo e in questo stesso momento, si stanno mettendo alla prova, o semplicemente si divertono a partecipare. Internet, da questo punto di vista, è uno strumento “piatto”, che mette alla pari qualsiasi proposta: possiamo trovare, uno di fianco all’altro, un film autorale di grande ricerca e un video amatoriale, un contenuto proveniente dalla fonte più nota (let’s say, Hollywood) con uno della periferia del Paese più lontano che si possa immaginare. E in quel contesto non saranno i criteri di autorevolezza a prevalere, bensì il contenuto stesso, e il gradimento che ha avuto presso il pubblico Internet. Lo stesso pubblico internazionale a cui possiamo pensare di poterci rivolgere.

Il nuovo Web, detto Web 2.0, offrendo una piattaforma aperta facilita così la partecipazione collettiva e l’emersione dei talenti. E nello stesso tempo trasforma i media stessi, perché questi ambienti stanno sfornando nuovi format specifici del mezzo – non poteva essere altrimenti.

E’ di questi argomenti che parliamo nel corso su Web 2.0 e Participatory Media, modulo che, nella stagione 2008/2009, apparterrà alla cattedra di Tecniche dei Nuovi Media Integrati. Con un accenno, inoltre, alle prospettive derivanti da un “quarto” schermo: quello del telefonino.